Il rischio di un naufragio del processo di unificazione europea è concreto. L’ultimo vertice europeo del 2015 ha confermato il preoccupante grado di divisione, indecisione, impotenza in cui si trova oggi l’Europa. Sia le crisi che si sono succedute negli ultimi anni – quella economica, quella finanziaria e del debito sovrano e infine quella dei rifugiati – sia il problema dei rapporti con la Russia e gli attacchi terroristici collegati alle guerre in corso in Siria e al caos medio-orientale, anziché promuovere più unità di intenti e coesione sociale, hanno reso meno solidale e compatta l’Europa. Solo l’ancora della moneta europea, ed il suo corollario – le politiche che le istituzioni europee e in primis la BCE e la Commissione europea e, anche se spesso obtorto collo, i governi nazionali hanno dovuto condurre per evitare una catastrofe che sarebbe stata non solo monetaria ma anche economica e sociale – hanno impedito all’Europa di diventare una semplice espressione geografica.
Resta il fatto che, per molti versi, nell’Europa della moneta unica e del Trattato di Lisbona le economie e le politiche nazionali in molte occasioni ormai divergono molto di più di quanto non avveniva prima della caduta del muro di Berlino. E, come ha osservato Norbert Röttgen, il Presidente della Commissione affari esteri del Bundestag, la moneta unica si è rivelata irreversibile, ma non indistruttibile (FAZ, 15 agosto 2015); così, i tempi troppo lenti di realizzazione delle quattro unioni (bancaria, fiscale economica e politica) sono incompatibili con la sua sopravvivenza. A loro volta la crisi dei rifugiati e gli attacchi terroristici hanno evidenziato la fragilità degli accordi di Schengen, su cui si sarebbe dovuta fondare la sicurezza interna in parallelo alla libera circolazione di merci e persone del mercato unico.
Bisogna dunque cambiare passo nell’affrontare la realtà europea per risolvere le tre questioni che saranno prioritarie nel 2016 e da cui dipende il futuro delle prossime generazioni di europei: quella del governo dell’eurozona; quella della sicurezza interna; quella della riforma dei trattati.
Il problema del governo dell’eurozona, diventato evidente a partire dalla crisi finanziaria e da quella economica, è in cantiere dal 2012, quando la Commissione europea, con il suo Blueprint for a deep and genuine Economic and Monetary Union (EMU), e i quattro presidenti (della BCE, dell’Eurogruppo, del Consiglio europeo e della Commissione europea), con il loro rapporto, avevano delineato la roadmap per la realizzazione delle quattro unioni. Sia i governi che i parlamenti nazionali e lo stesso Parlamento europeo stentano però tuttora a metterla in atto, con gravi ripercussioni per quanto riguarda la credibilità della volontà degli europei di costituire un polo continentale di responsabilità politica, oltre che monetaria. L’ultimo Consiglio europeo di dicembre ne è stata un’ulteriore dimostrazione. La riunione è stato dominata ancora una volta dalle tensioni tra i governi, a riprova del fatto che la crisi di fiducia tra gli Stati continua a bloccare ogni evoluzione; e a conferma dell’evidenza che il nodo cruciale da sciogliere è quello della condivisione di una porzione della sovranità politica a livello europeo, con la cessione da parte dei paesi membri di alcune prerogative di governo. Dall’unione bancaria, a quella fiscale, economica e politica, tutto è legato e rende impossibile risolvere singole questioni separatamente. Persino nell’unione bancaria, dove pure si erano già conseguiti alcuni obiettivi e sembrava si fosse raggiunto l’accordo sull’iter per il completamento, le divergenze tra i diversi sistemi nazionali creano tensioni che non si riescono a risolvere senza affrontare la questione complessiva della trasformazione dell’unione monetaria in una unione politica federale. Serve un sistema europeo che sostituisca l’attuale metodo intergovernativo e che dia alla Commissione europea – resa responsabile di fronte alla maggioranza del Parlamento europeo e del Consiglio, ossia ai cittadini e agli Stati membri – prerogative e strumenti di governo, incluso il controllo di un bilancio autonomo per attuare politiche economiche europee e poteri sui governi che non rispettano gli standard comuni. In assenza di questo salto di qualità, l’Europa resta in affanno innanzitutto per quanto riguarda il rilancio dello sviluppo produttivo ed economico, in una fase storica che vede un cambiamento epocale delle dinamiche produttive ed occupazionali e in cui, pertanto, sono sempre più necessari piani continentali ed un clima di maggior stabilità e sicurezza. Il risultato di questa paralisi è la crescita esponenziale delle forze anti-europee, nazionaliste, populiste e xenofobe.
Anche il problema della sicurezza interna, emerso in tutta la sua complessità e gravità nella gestione dei nuovi flussi migratori e, in modo drammatico, con le stragi di Parigi, riguarda evidentemente innanzitutto la definizione di una vera politica europea in questi settori, a partire dall’istituzione di una guardia costiera e delle frontiere davvero europea, autonoma dagli Stati, come ha proposto la Commissione europea. Anche in questo caso è evidente, sia sul piano politico che su quello economico, il legame con la questione della governabilità dell’euro. Nello stesso Trattato di Lisbona è stato sancito lo stretto legame tra moneta, mercato e sicurezza che ha fatto sì che le materie che precedentemente ricadevano sotto la disciplina del terzo pilastro, quali la cooperazione giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia, rientrassero nello stesso tipo di norme applicabili alle materie del mercato unico. E sul piano politico il nodo centrale è anche in questo caso la cessione di sovranità da parte degli Stati e la costruzione di un potere legittimo europeo; ossia l’inserimento di questo passaggio di consegne dagli Stati all’Europa nel quadro della costruzione di una vera unione politica.
Infine c’è il terzo processo, quello inerente alla riforma dei trattati, reso necessario dai limiti, sul piano istituzionale, del Trattato di Lisbona, ma rilanciato proprio in questa fase dalla decisione del Governo Cameron di indire un referendum sulla permanenza o meno della Gran Bretagna nell’Unione. Questa scelta britannica ha de facto fissato le scadenze temporali (il 2016-2017) entro le quali devono essere elaborate le modifiche ai trattati che non servono solo per definire i termini di una Brexit/Brexin, ma piuttosto per stabilire il nuovo quadro istituzionale della coesistenza di due cerchi: quello dei paesi che avendo scelto di entrare nell’euro, o avendo intenzione di farlo, non hanno alternative, pena l’implosione, alla realizzazione dell’unione fiscale, economica e politica; e quello dei paesi, in primo luogo della Gran Bretagna, disposti a condividere solo le regole del mercato unico
La questione del governo dell’eurozona, quella della sicurezza interna e quella della riforma dei trattati sono quindi tre aspetti dello stesso problema, e come tali devono essere inquadrati in un unico coerente progetto di unione politica federale.
Riconoscere questo dato di fatto rappresenta il primo indispensabile atto di coraggio che devono fare i governi, le istituzioni nazionali e quelle europee e le forze politiche. Solo così diventa possibile preparare il terreno affinché questo riconoscimento si traduca in volontà e decisione politica e in quel salto istituzionale più volte invocato dal Presidente della BCE e che gli europei sono chiamati a compiere entro questa legislatura, oltre la quale rischia di essere troppo tardi.
Cercare di fare in modo che ciò avvenga è il compito specifico di tutti coloro ai quali sta davvero a cuore il destino del proprio paese e dell’Europa.
Publius