Le elezioni europee appena conclusosi sono state un vero e proprio terremoto negli equilibri politici dell’Unione e di molti Stati membri. In un momento estremamente drammatico in cui la guerra è ritornata nel Vecchio continente, ed il benessere delle nostre democrazie è minacciato più che mai da crisi interne e pericoli esterni, i cittadini europei sono stati chiamati ad esprimere con il voto non solo il loro sostegno a un partito, bensì a una certa visione di quella che sarà l’Unione europea del futuro.
A prima vista, i risultati non sembrerebbero poi così eclatanti: in fin dei conti la maggioranza che ha governato nella scorsa legislatura, composta da Popolari, Socialisti e Liberali, ha perso appena una decina di seggi (conquistandone comunque circa 403 su 720) e dunque Ursula Von der Leyen avrà buone chance di restare Presidente della Commissione europea. Cercherà probabilmente il sostegno di ulteriori deputati su singole questioni (a partire dal voto a maggioranza assoluta richiesto per la sua rielezione), ma non avrà bisogno di un supporto organico da parte di altri partiti, come i verdi o i conservatori euroscettici. Inoltre, nonostante i vaneggiamenti di molti politici nazionali, nessun’altra maggioranza è possibile al di là quella tra il PPE, Renew Europe e i Socialisti.
Eppure, uno shock c’è stato. In Francia, il partito di estrema destra e antieuropeo del Rassemblement National è arrivato primo con un risultato di quasi il 32% dei consensi espressi, doppiando la maggioranza presidenziale europeista del Presidente Macron, che ha reagito convocando le elezioni anticipate dell’Assemblea nazionale tra poco meno di un mese. In Germania, Alternative für Deutschland, nonostante gli scandali e le chiare simpatie neo-naziste, ha ottenuto il 16% dei consensi superando l’SpD del cancelliere Scholz e diventando il partito più votato nell’Est del Paese. In generale le forze populiste ed euroscettiche sono cresciute ovunque in Europa arrivando a quasi un quarto degli eletti nell’europarlamento. Si tratta di una tendenza innegabile ed estremamente pericolosa. C’è una parte crescente dell’opinione pubblica pronta a cedere alle sirene dei populisti e degli estremisti che nelle loro diverse declinazioni (di destra e di sinistra) sono sostanzialmente accomunati dall’ostilità verso il progetto di unificazione europea. Se nei decenni precedenti questo rigetto si traduceva in proposte massimaliste, quali l’uscita dall’Unione, l’abolizione della moneta unica o la soppressione delle istituzioni sovranazionali, la nuova strategia dei partiti anti-europei punta alla riproposizione dell’Europa delle nazioni dove gli interessi egoistici dei singoli Stati prenderanno il sopravvento: si tratta di un vero e proprio sabotaggio del processo di integrazione europea dall’interno, dal momento che l’uso continuo dei veti nazionali renderebbe l’Unione sostanzialmente incapace di agire e di portare avanti le sue politiche.
L’ascesa del nazionalismo euroscettico, che rischia di prendere il potere in Paesi chiave quali la Francia, non può però essere compresa fino in fondo se non viene letta anche in relazione alle crescenti spinte federaliste che stanno animando il campo europeista. Se per molto tempo, le forze pro-europee tradizionali sono state caratterizzate da un certo torpore, nel senso che si limitavano e difendere l’Europa unita che già c’era e a promuovere l’idea di un lento progresso funzionalista dell’integrazione, negli ultimi anni il moltiplicarsi dei nemici dell’Unione, interni ed esterni, sta obbligando le forze pro- europee a riorientarsi e fare una chiara scelta di campo a favore del progetto di federazione europea. D’altra parte, è sempre più evidente che l’Unione debba rafforzarsi e diventare capace di servire efficacemente i suoi cittadini, se vuole sopravvivere; il rischio è altrimenti quello di soccombere per mano delle forze antieuropee che vinceranno sempre più elezioni, oppure di essere schiacciati dalle potenze autocratiche, come l’esperienza della guerra in Ucraina sta dimostrando, e dalla concorrenza globale non solo da parte della Cina, ma anche degli stessi USA, come l’Inflation Reduction Act prova.
Va letto in questo senso, dunque, il progetto di riforma dei Trattati sostenuto dalle forze europeiste nel Parlamento europeo uscente, già approvato in plenaria lo scorso 22 novembre e adesso bloccato sul tavolo del Consiglio europeo, in attesa che i capi di Stato e di governo decidano di convocare a maggioranza semplice una Convenzione che discuta i contenuti della riforma.
Il grande cambiamento determinato dalle elezioni europee del 2024 è dunque questo: l’Europa che già c’è non va più bene, e questo fatto è chiaro alla maggior parte delle forze politiche in gioco, le quali propongono comunque una trasformazione dell’Unione in un senso o nell’altro: sostenere la costruzione di una sovranità europea democratica, oppure ritornare all’Europa delle piccole patrie, pronte a venire a patti con le potenze esterne più arroganti.
Si è ormai dunque aperto uno scontro frontale sul futuro dell’Europa. Da una parte le forze nazionaliste si rafforzano e cercano di prendere il potere in sempre più Paesi, perfino in Francia e Germania, che a lungo sono stati il motore del processo di integrazione. Allo stesso tempo le forze che credono nel progetto di unificazione europea, che sono ancora fortemente prevalenti nell’opinione pubblica e nel nuovo emiciclo di Strasburgo, devono portare avanti il progetto di federazione europea. Per questo la nuova maggioranza al Parlamento europeo dovrà costituirsi attorno a due posizioni irrinunciabili, che dovranno essere condizione imprescindibile anche per il sostegno alla nuova Commissione: il supporto – anche militare – all’Ucraina nella sua guerra di resistenza all’aggressione russa e la volontà di riformare i Trattati raccogliendo il testimone della legislatura uscente e battendosi per la convocazione della Convenzione. Rendere l’Unione sovrana è l’unico modo per fermare il progetto di arretramento democratico e civile, nonché di resa alle potenze autocratiche esterne portato avanti dalle forze nazionaliste e antieuropee.