N. 84 Febbraio 2025 | Rendere l’Europa grande per davvero

Per l’Europa, la lunga stagione delle illusioni è finita: quella di poter contare indefinitamente sulla protezione americana, quella che il mondo globalizzato potesse garantire pace e stabilità grazie alla liberalizzazione dei commerci e all'interdipendenza economica, quella che il modello democratico fosse destinato a imporsi ovunque. L’Europa si ritrova così esposta a minacce gravissime sul piano della sicurezza, mentre vive un forte declino economico ed è indebolita da una crisi politica che vede crescere il consenso delle forze nazionaliste, anti-europee e anti-democratiche. Se queste crisi multiple non verranno utilizzate come un'occasione di rafforzamento dell'integrazione politica, il rischio concreto è che l’Unione europea si frantumi. Solo un'Europa unita politicamente potrà sopravvivere e tornare a prosperare nel nuovo contesto. Per fronteggiare le minacce poste dagli USA e dalla Russia deve manifestarsi da parte dei Governi democratici europei la volontà politica per intraprendere passi concreti verso la costruzione di una difesa autonoma efficace con cui gli europei possano garantire la sicurezza a sé e all’Ucraina (leggi l'appello a questo link https://297ae.r.a.d.sendibm1.com/mk/cl/f/sh/OycZvHuFo1eQsnbVs5XBQMFt/CZA6i6D7Eq11).

La lunga stagione delle illusioni è finita. L’illusione che l’Europa potesse contare indefinitamente sulla protezione americana nel quadro della NATO. L’illusione che il mondo globalizzato potesse garantire pace e stabilità grazie alla liberalizzazione dei commerci e all’interdipendenza economica. L’illusione che il modello democratico fosse destinato a imporsi ovunque, sospinto dall’apertura dei mercati e dalla diffusione delle nuove tecnologie.

Due fatti hanno obbligato gli Europei e il mondo ad aprire gli occhi: l’invasione russa dell’Ucraina e la riconferma di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. Entrambi gli eventi, pur nella loro diversità, hanno segnato in via definitiva il tramonto dell’ordine internazionale successivo alla Seconda guerra mondiale basato sulla volontà di controllare l’uso della forza, la creazione di organizzazioni multilaterali e lo sviluppo di un’interdipendenza economica sempre più forte. 

Da un lato, la Russia è tornata a praticare apertamente la politica di potenza: l’Ucraina è stata invasa in quanto rientrante nella zona di influenza russa e dunque “oggetto” di sua proprietà, con buona pace della popolazione locale che desiderava invece avvicinarsi all’Europa. L’aggressione è stata resa possibile grazie al sostegno di autocrazie alleate, in particolare Cina, Iran e Corea del Nord, che hanno fornito alla Russia ingenti risorse, materiali e umane, per portare avanti il conflitto militare e reggere alle sanzioni occidentali. L’obiettivo di questi governi è evidentemente quello di creare un “precedente”, che legittimi a sua volta le loro mire imperialiste e revisioniste, aprendo la strada a nuovi interventi militari in Asia a discapito dei loro vicini più deboli..

Dall’altro lato, gli Stati Uniti di Donald Trump, rinunciando di fatto al ruolo di guida del mondo libero, hanno deciso di imprimere una svolta radicale alla loro politica estera: quest’ultima non si baserà più sulla ricerca di soluzioni comuni all’interno di consessi globali, bensì su rapporti di pura forza economica e militare. L’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi, dall’Organizzazione mondiale della sanità, oltre che dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, segnano la fine dell’impegno americano bipartisan a favore del multilateralismo, e l’inizio di un nuovo corso nazionalista improntato all’imposizione di “accordi” bilaterali ai singoli Paesi, non importa se alleati o rivali. Non solo: le rivendicazioni di Trump sul canale di Panama, il Canada e la Groenlandia riecheggiano in modo sinistro quelle di Putin sull’Ucraina e sui territori dell’ex Unione Sovietica, così come quelle della Cina su Taiwan, di fatto giustificandole. È il ritorno della politica di potenza, dove i forti comandano e i deboli subiscono. 

Per l’Europa, è l’avverarsi di un vero incubo. A partire dagli anni ’90, l’Unione aveva costruito un modello economico e istituzionale basato su presupposti geopolitici completamente diversi: stabilità delle relazioni internazionali, apertura dei mercati, diffusione dei propri standard normativi, dialogo e cooperazione tra le grandi potenze, oltre al rafforzamento delle organizzazioni internazionali. In questo quadro da “fine della storia”, l’Unione avrebbe potuto prosperare riducendo la spesa militare, arricchendosi grazie alle esportazioni verso Cina e Stati Uniti e persino coltivando una dipendenza energetica dalla Russia, con l’obiettivo di “addomesticare” il pericoloso vicino attraverso l’interdipendenza economica. Per gli stessi motivi, il rafforzamento dell’integrazione politica attraverso il trasferimento di competenze e risorse all’Unione è stato ritenuto superfluo, giustificando il desiderio degli Stati membri di mantenere la loro sovranità in alcuni settori chiave, come difesa, politica estera e fiscalità.

Questo modello, incarnato soprattutto dalla Germania di Schröder e Merkel, è ormai fallito e l’Europa, fragile e disorientata, si ritrova oggi esposta a minacce gravissime su molteplici fronti.

Il primo è quello della sicurezza: la Russia è ormai impegnata in una politica di aggressione volta a riprendersi i territori perduti con il crollo dell’Unione Sovietica. La sua conversione in un’economia di guerra, la repressione sempre più brutale dei dissidenti e il rafforzamento delle partnership militari con Iran e Corea del Nord lasciano pensare che il Cremlino voglia realizzare progressivamente una strategia neo-imperiale attraverso l’uso della forza. D’altra parte, a tre anni dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, l’amministrazione Trump sta spingendo per un accordo diretto con Putin, senza il coinvolgimento né di Kiev, né tanto meno dell’Unione europea: la Russia sarà di fatto autorizzata a mantenere il territorio già conquistato in cambio di vaghe promesse di non espandersi oltre. Si tratta di una vera e propria politica dell'”appeasement” che di certo non riuscirà a neutralizzare le mire di Putin su nuovi territori oltre l’Ucraina, come la Moldavia, la Georgia e, un domani, le repubbliche baltiche. 

Il secondo fronte è quello economico: l’economia europea sta vivendo ormai un conclamato declino a causa della sua frammentazione politica e del fatto che gli Stati membri perseguono innanzitutto il proprio interesse nazionale anche nell’attuare le politiche comuni. A questo si aggiungono – spesso come conseguenza della mancanza di un governo politico a livello europeo – le rigidità burocratiche, il mancato completamento del mercato interno e la lentezza nelle decisioni strategiche. Mentre Stati Uniti e Cina investono massicciamente in digitalizzazione, intelligenza artificiale e produzione industriale, l’Europa fatica a mantenere il passo, priva di una capacità di investimento comune, ingabbiata in vincoli di bilancio stringenti, con un mercato dei capitali ancora frammentato, una capacità di innovazione tecnologica insufficiente e dipendenze nel settore dell’energia e delle materie prime strategiche. Senza un cambio di passo, l’erosione progressiva della base industriale e tecnologica europea avrà un effetto a cascata devastante su occupazione, benessere e coesione sociale, da cui dipende la tenuta del tessuto democratico. 

L’ultimo fronte, forse il più decisivo, è interamente politico: riguarda l’avanzata delle forze antieuropee ed estremiste nell’opinione pubblica e nelle istituzioni. Parliamo di partiti che sulla base di proposte anti-immigrazione e securitarie hanno conquistato tra il 20 e il 35 delle intenzioni di voto, con un’influenza crescente nel dibattito politico. Alcuni di questi movimenti sono già al governo, altri si candidano a esserlo, e ora hanno trovato un nuovo leader in Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo, consigliere del Presidente Trump, responsabile del dipartimento per l’efficienza alla Casa Bianca e manipolatore di opinioni attraverso il suo social media personale, “X”. È proprio Elon Musk che, dopo aver sostenuto apertamente partiti di estrema destra, come l’Alternative fur Deutschland in Germania, ha lanciato lo slogan “MAKE EUROPE GREAT AGAIN”, chiamando a raccolta tutte le forze nazionaliste ed estremiste che odiano l’integrazione europea. 
 

L’obiettivo di Musk è chiaro: sostenere a livello mediatico e finanziario quei movimenti politici radicali che una volta al potere sarebbero pronti a smantellare l’Unione per ritornare alla vecchia Europa delle patrie nazionali. Cosa ancora pìù sconvolgente, lo stesso Vicepresidente degli USA, J. D. Vance, ha direttamente attaccato l’Europa alla conferenza sulla sicurezza di Monaco, indicando come suoi veri nemici non la Russia o la Cina, bensì le regole UE di lotta delle fake news e dei messaggi d’odio, che a suo avviso rappresenterebbero un’inaccettabile censura. Se ciò non bastasse, Vance ha apertamente invitato i politici tedeschi ed europei a collaborare con le forze di estrema destra, per il momento tenute a debita distanza dall’arco costituzionale.

Di fronte a questi gravissimi pericoli e attacchi senza precedenti, le soluzioni, per fortuna, non mancano: sono quelle messe nere su bianco negli scorsi mesi dal Rapporto Letta sul completamento del mercato interno, dal Rapporto Draghi sulla competitività e dal Rapporto Niinistö sulla sicurezza. Il messaggio è chiaro: l’Unione deve cambiare radicalmente. È innanzitutto necessario adottare atti normativi e iniziative volte a finanziare e sviluppare un’industria europea della difesa, completare il mercato unico dei capitali, favorire investimenti strategici per la transizione ecologica e digitale e rafforzare il supporto militare all’Ucraina; contemporaneamente, queste scelte urgenti devono essere accompagnate da un processo di riforma dell’Unione, che affronti due priorità cruciali: sviluppare un’autonomia fiscale dell’UE e migliorare le capacità decisionale in materia di politica estera e di difesa, eliminando il diritto di veto dei singoli governi. Il Parlamento europeo ha già avanzato una proposta di riforma dell’Unione in tal senso nel novembre del 2023; spetta ora alla Commissione europea sostenerla per obbligare il Consiglio europeo a portare avanti la procedura di revisione dei Trattati.

Il problema, dunque, non risiede nella carenza di soluzioni, ma della volontà di attuarle. Se queste crisi multiple non verranno utilizzate come un’occasione di rafforzamento dell’integrazione politica, il rischio concreto è che l’Unione europea si frantumi, con alcuni governi che cederanno alle sirene di Trump, spezzando così il fronte comune, oppure con la scelta di un approccio “pragmatico” che potrà solo tradursi in un’accettazione passiva di tutte le richieste della Casa Bianca in tema di acquisto di gas e armamenti, smantellamento degli standard normativi UE e, perché no, controllo di fatto della Groenlandia.

In conclusione, per rendere l’Europa grande, non bisogna guardare alle piccole patrie del passato: il nazionalismo non è mai stato portatore di grandezza, ma, al contrario, ha causato nelle sue estreme conseguenze la rovina economica, politica e morale dell’Europa. Se si mira alla vera grandezza, allora, è meglio costruirla nel futuro: solo un’Europa unita politicamente potrà sopravvivere e prosperare nel nuovo contesto geopolitico, conquistando quella sovranità che i piccoli stati nazionali possono solo illudersi di avere ancora nelle loro mani.

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