Oggi al centro del dibattito europeo sta l’Unione economica e monetaria che, salvo imprevisti, vedrà la luce il primo gennaio 1999. Essa costituirà un decisivo passo avanti nel processo di unificazione europea. I governi dei paesi che intendono farne parte, e le forze politiche che li sostengono o che comunque condividono l’obiettivo della moneta europea, sono impegnati in un grande sforzo per realizzare le condizioni della loro partecipazione fin dall’inizio. Ma l’Unione monetaria non concluderà certo il processo di unificazione europea. Si impone quindi sin d’ora una approfondita riflessione su ciò che avverrà dopo la sua entrata in vigore.
E’ noto che tra i numerosi problemi sul tappeto due sono i principali. Il primo è quello della creazione delle condizioni di una politica economica europea che completi l’Unione monetaria. L’esigenza indiscutibile della piena indipendenza della banca centrale non può far dimenticare l’impossibilità che un’unione monetaria delle dimensioni di quella che sta per nascere possa sopravvivere a lungo, superando gli squilibri che in essa si manifesteranno, senza una politica europea di bilancio ed un’autorità che abbia il potere di condurla. Ed è inutile tentare di nascondersi che il fallimento dell’Unione monetaria significherebbe la fine del processo di unificazione europea, e quindi il ritorno del nazionalismo e la crisi della democrazia.
Il secondo è quello dell’allargamento dell’Unione. Si tratta di una decisione che non può essere rinviata sine die senza deludere le legittime aspirazioni dei popoli che si sono liberati dal dominio dell’Unione Sovietica e quindi senza interrompere il loro cammino verso la democrazia e l’economia di mercato. Se ciò accadesse, anche la credibilità dei governi degli attuali Stati-membri dell’Unione Europea ne risulterebbe compromessa in modo irreparabile. Peraltro, se l’allargamento avrà luogo senza che precedentemente sia stata realizzata una riforma delle istituzioni dell’Unione che ne rafforzi in modo radicale la capacità di agire e la legittimità democratica, esso diluirà l’Unione in una grande area di libero scambio, creando così i presupposti della sua dissoluzione.
Si tratta di cose note, ma dalle quali la politica non tira le conseguenze. Le risposte che finora sono state date, o proposte, dai governi dell’Unione sono del tutto insufficienti. E’ insufficiente il patto di stabilità, che lascia ad ogni singolo governo nazionale la responsabilità esclusiva di mantenere l’equilibrio del proprio bilancio nel momento stesso in cui l’UEM priva i governi delle principali leve della politica monetaria. E’ insufficiente la proposta del “Consiglio dell’Euro”, la cui struttura non gli consentirà di andare al di là di un normale coordinamento delle politiche economiche nazionali, fondato una volta di più sulla sola buona volontà dei governi che ne faranno parte.
D’altra parte il Consiglio Europeo di Amsterdam ha dimostrato i limiti della capacità del metodo intergovernativo di riformare le istituzioni dell’Unione. E non si deve dimenticare che, se anche fossero state approvate le più avanzate tra le proposte che erano state fatte nel corso dei lavori della Conferenza che ha preceduto il Consiglio, il risultato sarebbe comunque stato del tutto inadeguato alla dimensione delle sfide alle quali l’Unione è confrontata.
La verità è che, con la fine della Guerra fredda e con la prossima nascita dell’Unione monetaria, l’Unione europea è giunta alla soglia di una grande svolta storica. Per affrontarla con successo non bastano piccoli ritocchi istituzionali, quali sono le proposte, in parte adottate e in parte rinviate, di modifiche nelle maggioranze necessarie per quelle decisioni del Consiglio dei Ministri che non devono essere prese all’unanimità, o nella composizione della Commissione, o nel modo in cui questa è nominata. Ciò di cui l’Unione europea ha bisogno è un potere forte e fondato sul consenso democratico, nel quadro di un assetto costituzionale federale ispirato al principio di sussidiarietà.
I governi, se saranno lasciati soli, non avranno la forza di prendere le decisioni radicali che la situazione storica richiede. Questa forza può derivare soltanto dal consenso popolare. Per questo è necessario che la politica europea cessi di essere il dominio riservato di una ristretta cerchia di specialisti e che le forze politiche democratiche inizino, anche in vista dell’ormai prossima scadenza delle elezioni europee del 1999, un grande dibattito costituzionale sul futuro dell’Europa, che coinvolga profondamente i cittadini. Così come è necessario che Parlamento Europeo e Parlamenti nazionali prendano coscienza del compito costituente che ad essi spetta in quanto depositari della legittimità democratica europea.
E’ questo l’obiettivo per il quale i federalisti si battono e per il cui conseguimento essi hanno lanciato in tutta Europa una Campagna permanente. Con questa lettera essi tenteranno di dare una voce ai cittadini europei, che fino ad oggi sono rimasti esclusi dal processo di costruzione dell’Europa, e di farla pervenire alla classe politica europea.